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martedì 14 settembre 2010

Teatro Palladium: Ammaliata. Festa D' Africa Festival

 

Compagnia Divano Occidentale Orientale,
ETI-
I Teatri del Sacro (Federgat, C.E.I, ACEC),
 
Fondazione "Antonio Manes"

con il patrocinio della
 Presidenza della Regione Calabria

presentano

 

Ammaliata

Orchestra popolare per coro di sei voci e tre seggiole

 

 

 

composta e diretta

Giuseppe L. Bonifati

 

 

 

con


Luigi Tabita

Fabio Pappacena

Maurizio Semeraro
Roberta De Stefano

Adele Tirante
Neilson De Abreu Bispo Dos Santos

 

 

 

Da dove c'eravamo lasciati?

Dagli occhi caduti sul cuore,

dalle pupille rosse martoriate
tenute sull'orbita a difesa del cuore

 

 

La ricerca drammaturgica di "Ammaliata" è partita come una larga spirale di lingue con certe assonanze della Calabria, della Basilicata, della Campania e della Puglia, che arrivano dal mare, dalla montagna, a celebrare matrimoni di suoni, oscuri riti popolari. La messinscena non è spettacolo, non può esserlo soltanto. E' anche la volontà espressiva e pittorica del sottoscritto; di un un mondo, quello popolare, che dura ancora. "Ammaliata" è l'appellativo col quale viene designata una persona che è stata colta dal fascino a motivo della sua avvenenza o semplicemente per invidia. Esistono formule di scongiuro in grado di placare il fascino subito. Questi riti sono molto praticati in tutta la Calabria e fanno parte di un gruppo di credenze popolari ben più ampio, ancora in vita, strettamente legate ad una complessa simbologia mitico-religiosa presente tutt'oggi. Vi è comunque uno scarto da notarsi tra le vecchie e le nuove generazioni: un gap generazionale che ha prodotto una mancanza di valori, usi, costumi della cultura del popolo basso.

Questo è dunque un motivo per riafferrare ricordi, immaginare parole per evocare ricordi: la nostalgia di sensazioni, in una sinfonia di vitalismi meridionali dove salta fuori ciò che è e ciò che più non è.

Alla base di questo lavoro sono dunque gli occhi.

 

 

 

(La Repubblica, Milano – Sara Chiappori)

Il mistero della seduzione mistica, le tradizioni popolari più arcaiche sospese tra sacro e profano, i canti, l' immaginario superstizioso e la simbologia di una religiosità che affonda le sue radici dentro una spiritualità quasi pagana. C' è tutto questo in Ammaliata. Tra antropologia e ricerca sul campo, questo lavoro della compagnia Divano Occidentale Orientale si presenta come un viaggio tra musica e parole sulle tracce dei riti popolari calabresi (ma anche lucani e pugliesi) nella forma di un rito iniziatico di possessione e liberazione.

 

 

(Delteatro.it – Andrea Porcheddu)
Potenti e possenti, "magare", sapienti, univano credenze popolari e misteri antichi, religione e dissacrazione. Il mal'occhio, allora, è il simbolo-sintomo di questa società cattolica e retriva. E proprio alle "fatture" guarda Ammaliata. Tutto si intreccia, infatti, in quella prima immagine che è aspra parodia e feroce denuncia, ossia i tre attori, possenti e istrionici, nei panni delle tre beghine: fazzoletto in testa, gonne nere, un dialetto aspro di un Sud generico e diffuso. Con una scrittura che è spesso felicemente poetica e in rima, si parla calabrese, si slitta verso il napoletano, si passa al siciliano e al pugliese o ancora al calabrese, in questo spettacolo dove si intrecciano folk e kitsch, il Bajon (ballato alla maniera di Silvana Mangano in uno strano film amato da Nanni Moretti) e le tarantule, De Simone e la Carpinese.

 

 

(TamburodiKattrin.it – Camilla Toso)
Il lavoro di Bonifati è divertente quanto accurato, la contaminazione di generi musicali, riti e danze diverse rende lo spettacolo omogeneo e caratteristico al contempo. Samba e taranta si alternano ai balli dei dervisci nordafricani. I canti tradizionali accompagnati dal bravissimo percussionista Antonio Merola, si alternano a un testo quasi completamente in versi. Intonato al ritmo, il testo si muove tra nenia, lamento e un rap supportato dalla rima baciata. Buona la performance degli attori, soprattutto Luigi Tabita nell'interpretazione della magara dallo sguardo penetrante. La scelta di dare a tre uomini

personaggi femminili accentua la parodia di una pièce che nasconde una profonda ricerca antropologica.

 


Spettacolo Vincitore del Bando di produzione  "ETI-I Teatri del Sacro 2009"

 

 

 


 

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