con Gabriele Benedetti
con Enrico Campanati e Matteo Selis
con Matteo Angius e Fabrizio Arcuri
Cinna è un poeta perchè scrive poesie? O solo perchè dichiara di esserlo? O semplicemente perchè il suo autore decide di definirlo così, Shakespeare prima e Crouch dopo?
In Shakespeare c’è Cinna il console congiurante e Cinna il poeta. Ma il nome vale di più della persona. Il nome vale una morte ingiusta.
L’autore Tim Crouch riconsegna un Giulio Cesare rivisto con gli occhi, e riscritto con le parole, di un ciondolante poeta che fa brutti sogni, e che non smette di trovarsi sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Come la Storia segna la vita di chi vi prende parte, anche malgrado lui?
Una scrittura continua della propria storia a cui gli spettatori possono partecipare. Questa è la vendetta di Cinna il poeta contro se stesso, e contro le parole e contro il popolo che lo ha ucciso: imparare nuovamente la propria storia e costruirne una nuova rappresentazione. Un racconto che non passa solo attraverso il media verbale ma anche quello delle immagini, specchi che moltiplicano una verità politica e sociale, dolorosamente irriducibile.
Testimone inutile, prima perché ucciso e messo a tacere e ora nella sua forma di fantasma, Banquo prova a ricomporre i segni di una violenza di cui è stato vittima, insieme al suo Re e al suo stesso intero Paese. Ma a riviverle le cose non sembrano poter prendere un altro corso. Tutto è quello che è già stato. Resta solo la struggente sensazione che a fare le stesse cose potesse essere qualcun altro – pur dovendosi così sporcare le mani di sangue, passando dal ruolo di vittima a quella di carnefice. Macbeth e la sua Signora sono solo i corpi passeggeri di una voglia di potere che attraversa il tempo senza mai trovare soddisfazione, rivoltando lo stato delle cose, con l’unica conseguenza di lasciarlo sempre uguale a se stesso: territorio di conquiste, reali e effimere, ma pur sempre tragiche.
Il sangue è il segno di questa storia. Un sangue capace di sporcare anche i fantasmi (e gli spettatori, certo). Un sangue che poi si lava via, solo per lasciare spazio ad altro sangue. Banquo è il fautore di una visione. O ne è il protagonista. O forse solo un personaggio in mezzo ad altri. Resta da capire ognuno al posto di un altro come si comporterebbe. Banquo al posto di Macbeth. Uno spettatore al posto di Banquo. E ognuno, al suo posto o in quello di un altro, potrà rispondere alla domanda: il potere chi logora veramente?
Ecco allora i sogni dell’ultimo dei folletti per raccontare la storia di un sogno. Quello di una notte di mezza estate. Il tormento e il divertimento di una condizione fantastica, ma anche così tanto reale, di chi forse avrebbe qualcosa da dire, se qualcuno gli dicesse cosa. Questa volta a Fiordipisello non mancano le parole (se non proprio quelle che lo hanno reso il personaggio che è, eche Fiordipisello prova a ricordare con una nostalgia irriducibile): gli mancano gli attori della storia di cui è autore ulteriore. Non resta che coinvolgere gli spettatori in un gioco moltiplicato di legittimità rappresentativa: chi può dire cosa e come? Gli spettatori, invitati inconsapevoli di un Sogno, diventano ora protagonisti della sua rappresentazione. Tutto è quello che era, ma è già qualcos’altro di cui non sappiamo ancora nulla.
Quel che resta di una festa (maschere e coriandoli ovunque, cibo, vino e vomito sul pavimento, echi di musiche lontane) e amori, consumati o inconsumabili, disegnano la vertigine in cui cade Fiordipisello, nel tentativo ultimo di essere se stesso (o quello che lui crede di essere). Un tentativo che è quello di tutti, testimoni silenziati di una storia a cui non possiamo rinunciare di partecipare.
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Redazione del CorrieredelWeb.it
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