Tre storie, tre tragedie distanti 22 anni l'una dall'altra, questo l'espediente drammaturgico con il quale Annalisa Rossi indaga la vita, la morte, l'Italia. Partendo dal 2010, e proseguendo con lunghi balzi a ritroso nel tempo, Annalisa Rossi mostra tre quadri che sembrano tra loro legati soltanto dalla comunanza di luogo e d'epilogo, ma che invece son legati da un filo rosso molto più sottile, quasi impercettibile: è la comunanza di un'identità cittadina, la quale racchiude in sé un messaggio.
La narrazione di queste vicende dunque sembra suggerire che il messaggio è da cercare altrove, in quel processo di disillusione di cui siamo vittime, in quella perdita di memoria che ci ha fatto dimenticare chi eravamo, umili genti, fraterne, sensibili, felici. Probabilmente per questo Annalisa Rossi ha invertito il corso del tempo partendo dalla fine: per mostrare lo specchio col nostro volto attuale, pallido, bisunto, persino un po' inquietante, tornando poi indietro lentamente al giorno in cui abbiamo perso la nostra capacità di stare vicino agli altri, al giorno in cui semplicemente eravamo buoni e meno egoisti.
Si nasconde una parabola al contrario in queste vicende, un partire dal basso – dove siamo ora – e tornare in alto, alla ricerca della sensibilità, dell'amore e d'una schiettezza forse un po' rozza ma sincera. È la rozzezza dell'operaio della Sip chiamato tra gli angeli di Dio perché possiede un cuore puro; è l'amore delle due sorelle, le quali piuttosto che sacrificare vita e tempo dell'altra, spiccano unite il volo verso il cielo.
Ci si chiede: dove sono i puri oggi?
Dov'è quell'atto coraggioso che è amare a tal punto di sfidar la morte?
Ai cinque attori il compito difficile di raccontare al fine di farci ritrovare amore e purezza, fratellanza e umiltà, ottimismo perduto e voglia di vivere: questi ultimi temi, in special modo, emergono con forza dal secondo quadro e dalla commovente storia di un semplice operaio.
Oggi invece colui che ci rappresenta ha la faccia magra e sbiadita di un fantasma, colui che più ci lascia amarezza sdegnandoci, l'unico che morendo non lascia traccia di speranza. Siamo noi quei fantasmi.
SETTIMO PIANO, INTERNO 22
Scritto e diretto da Annalisa Rossi
con (in ordine d'apparizione): Maria Stefania Pederzani, Sergio Mandato, Carmela Giannella, Tina Agrippino, Lino Pietroni.
Musiche originali di Claudio Rosati
Luci di Claudio Carfora
Ufficio stampa Rocchina Ceglia
Teatro Antigone
Via Amerigo Vespucci, 42
00153 Roma
www.teatroantigone.it
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