Some girl(s) è una commedia intrigante e acuta, definita semplicemente un successo dalla critica nazionale, nata dalla penna di uno degli autori americani più acclamati della generazione post-Mamet, Neil LaBute.
Un giovane uomo, insegnante e aspirante scrittore, prima di sposarsi decide di fare un viaggio à rebours nella propria vita,mettendosi in cerca delle proprie ex, per provare - in un paradossale tentativo di espiare gli errori delle vite precedenti – a sistemare, come dice lo stesso autore, "il casino che ha combinato nella sua vita sentimentale lungo la strada verso la propria maturità".
Ne emerge il tragicomico ritratto, in bilico tra Rohmer e Voltaire, di un uomo-bambino: un adultescente che barcolla trapaura di impegnarsi, senso di colpa e una spietata ambizione che lo spinge, un po' per cinismo, un po' per incoscienza, aconsumare e manipolare le donne della sua vita.
Quattro donne si alterneranno in scena con il protagonista, e una quinta sarà interprete di un insolito contenuto extra. Lamessinscena, infatti, si contamina con una multimedialità che supera i confini teatrali: grazie a un link gli spettatoriavranno la possibilità di assistere a un quinto episodio della storia che, visibile solo online, li condurrà ancora più inprofondità in questa indagine sulle complessità delle relazioni uomo - donna.
Guy è un uomo bambino o è anche lui un naufrago alla deriva nella liquidità dell'amore? Sam è una ragazzaabbandonata o una provinciale inghiottita dalle sue stesse aspettative piccolo borghesi? Tyler ha fatto dell'indipendenza un motivo d'orgoglio e della seduzione un'arma, oppure è una donna fragile che teme di abbandonarsi alla speranza?
La regia esalta, nella sua direzione minimale, queste ambiguità facendo perno sulle capacità interpretative degli attori. D'altra parte Some Girl(s) è dedicato a Eric Rohmer, uno dei padri della Nouvelle Vague. E come nel cinema di Rohmer,la recitazione ha il registro di un naturalismo quasi documentario.
Luci e scenografia contrastano con il realismo che suggerirebbe la scena (una stanza d'albergo sempre più o menouguale) e sconfinano nel terreno di un teatro simbolista à la Maeterlinck.
Le musiche accompagnano, senza mai sottolinearne gli eventi, questa commedia brillante ma allo stesso tempo amara,spaziando dalle tristi note di Karen Dalton al tema della serie TV Utopia di Cristobal Tapia de Veer, dalle note del pianodi Nils Frahm al country malinconico di Conor Oberst e Gillian Welch.
Tutto confluisce nell'idea di un teatro indie-pop: un teatro che, con la stessa capacità di intercettare tensioni e passioniche ha la più illuminata musica contemporanea, ingaggi lo spettatore in un processo di identificazione non rassicurante,in una riflessione sulla liquidità delle esistenze e dei legami, in una condivisione profonda delle emozioni. Un rito dicatarsi collettiva che, senza esaurirsi nel tempo della messa in scena, lascia delle domande aperte che accompagnano ilpubblico fuori dalla sala.
Marcello Cotugno
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