"Le mattine dieci alle quattro" doveva essere in scena al Teatro Sala uno fino al 24 gennaio, ma il grande successo di pubblico e di critica a fatto si che la permanenza dello spettacolo si prolunghi fino al 31 gennaio. Ho avuto l'occasione di incontrare l'autore del testo nonché regista dello spettacolo Luca De Bei, e gli attori Federica Bern, Riccardo Bocci, e Alessandro Casula, e porre loro alcune domande.
Federica come ti sei preparata per affrontare il personaggio di Cira, una ragazza che avrebbe voluto studiare ma le sue condizioni economiche l'hanno costretta a lavorare precariamente e in nero.
Federica Bern Mi sono preparata, intanto, documentandomi molto sul web, vedendo tanti video che parlano di lavori precari, e in nero, e di testimonianze di persone che avevano perso qualcuno, e guardando anche lo sguardo che hanno queste persone. Io abito in borgata come il personaggio dello spettacolo, abito a centocelle da due anni, quindi, anche andando a fare delle belle passeggiate per strada, osservando le persone, facendo un lavoro diretto di attore, un lavoro di osservazione, di confronto, e poi in sala prove con i miei colleghi e con il regista, poi certo tutte le persone che mi possono ricordare un'esperienza vicina al mio personaggio le ho tenute presenti e le ho conservate come esperienza emozionale, perché il testo è molto forte e passa attraverso vari livelli della storia, c'è una parte più leggera che è lo sbocciare dell'amore tra i due ragazzi, e una invece più drammatica che è quella della perdita della persona amata. Il discorso sul lavoro nero, e sul precariato non è assolutamente secondario, è l'humus dove crescono questi ragazzi. Cira è una ragazza con i piedi per terra è una che dice: questo non si può fare, (forse io non me lo merito), ha messo i sogni nel cassetto, anche perché è vero che la nostra generazione rischia di non potersi permettere di sognare. Adesso poche persone possono essere mantenute dalla famiglia in una città secondaria per andare a studiare all'università. Si è vero che noi abbiamo studiato per fare gli attori, ma siamo anche noi vicini, siamo precari e, quindi, a quella realtà che racconta Luca, che però è più estrema. Vita quotidiana concreta, aderenza alla realtà, penso che se arriva qualcosa al pubblico è perché è stato fatto questo tipo di lavoro.
Riccardo tu invece come ti sei preparato per interpretare William?
Riccardo Bocci Non molto diversamente da quello che ha detto Federica, nel senso che il mio personaggio in qualche maniera è distante da me, perché io ho avuto la possibilità di scegliere e lui no. William è nato da una famiglia che avrebbe desiderato per lui delle cose, ma che faceva scarsamente i conti con la realtà perché non c'erano né i strumenti culturali, né tantomeno i mezzi economici.
Secondo te perché William ha scelto di non provare la carriera di attore?
Riccardo Bocci Perché non aveva interesse a farlo, la madre ci prova a farglielo fare, ma per lui è qualcosa che non gli appartiene. Alcune persone che non hanno grandi mezzi, e se ne rendono conto, non hanno , di conseguenza, neanche la forza dell'immaginazione, per cui una cosa che non si riesce ad immaginare, anche se te la pongono davanti, non riesci a fartela piacere, c'è poco da fare, quando una cosa ti è estranea per quanto possa essere bella, non è tua e quindi la rifiuti. Entrare in una testa così diversa dalla mia non è stato facile, ma anche io in famiglia ho degli esempi di persone che avevano un modo di approcciarsi alla vita in maniera molto diretta, senza grilli per la testa: quello che c'è ci prendiamo. Senza dare un giudizio, William è di meno di Riccardo è semplicemente un'altra cosa. Questa è la cosa più importante su cui ho potuto lavorare, poi l'osservazione della realtà, e internet
Hai avuto la possibilità di parlare con qualche operaio precario?
Riccardo Bocci Questo testo è andato in scena per la prima volta, sotto forma di lettura, due anni fa al Teatro Eliseo. In quel periodo io stavo ristrutturando casa e mi soffermai molto a lungo a osservare gli operai, anche i loro legami di amicizia, molto semplici, non scolarizzati, ho chiesto a loro delle esperienze precedenti che avevano avuto, diverse da una casa privata. E poi ho uno zio muratore che ha lavorato 60 anni in un cantiere, e mi ha detto un po' di cose.
Alessandro tu interpreti Stefan un ragazzo rumeno clandestino, che parla poco, ma esprime molto con la postura corporale.
Alessandro Casula Si Stefan ha 23 anni, ed è arrivato in Italia per cercare fortuna, come molti suoi connazionali, lavora in un cantiere, di lui si sa ben poco, sta qui da tre mesi e non parla assolutamente la lingua italiana, quindi come attore mi sono dovuto cimentare ad imparare delle battute in lingua rumena, in particolare le frasi ricorrenti nei momenti di rabbia, e delusione, che comunque erano scritte nel testo. Noi italiani, si sa gesticoliamo molto, e ciò è molto caratterizzante agli occhi degli stranieri di conseguenza, stavo molto chiuso, e cercavo di muovermi il meno possibile. Il fatto di essere clandestino porta Stefan a muoversi il meno possibile, per farsi notare il meno possibile, loro hanno l'obbiettivo di lavorare, fare più soldi possibile, e di sopravvivere in paese che gli accoglie in una maniera vergognosa. In Italia, ancora oggi, muoiono sul lavoro 1200 persone l'anno. E' il fatto che questo testo veicoli il messaggio,di quanto, oggi, i giovani italiani e non siano sfruttati, e oggetto di soprusi e questo messaggio, vedo arriva al pubblico, perché esce dallo spettacolo commosso e molto partecipe, è un grande onore, e per noi tutti è una grande emozione.
Luca tu hai scritto lo spettacolo "Le mattine dieci alle quattro" e anche il libro, hai scritto prima l'uno o l'altro?
Luca De Bei In realtà non ho pubblicato un libro omonimo, ma il testo teatrale, visto che l'editoria teatrale in Italia è così poco frequentata, e visto che è così difficile pubblicare un libro, ho colto l'occasione che la casa editrice Titivillus ha capito che di uno spettacolo che va in scena un mese, ora un mese e una settimana si può vendere il libro in teatro, si può unire l'uscita editoriale insieme alla prima, che può essere un veicolo pubblicitario, però in effetti, oggi, è molto difficile far pubblicare un testo teatrale.
Questo testo, (io ho scritto così nella mia recensione) io l'ho recepito così, ma spero di averlo recepito nel senso giusto tratta degli argomenti purtroppo molto attuali, però con un'apparente leggerezza che invece poi va in profondità, e che fa presa sullo spettatore, perché lo spettatore quando va a teatro comunque un po' si vuole "divertire" ma nello stesso tempo qual'è secondo me lo scopo: farlo divertire, ma anche farlo riflettere. Io credo che tu abbia fatto centro. E' stata una cosa che tu hai pensato o no questo tipo di scrittura?
Luca De Bei Siccome tutti i miei personaggi nei miei lavori sono personaggi marginali, sono reietti della società, sono sconfitti, vivono ai margini della società, ci sono dei personaggi con dei problemi psichici in "Buio interno" o malati come in "Un cielo senza nuvole". Anche qui, senza andare nella malattia, né fisica né psichica sono comunque dei personaggi, sconfitti e ai margini della società, allora io mi sono posto uno scopo, quello di fare entrare gli spettatori nei personaggi, di capirli, di amarli, di affezionarsi a loro, perché quando ci si affeziona ad un personaggio, quello che gli capita lo si recepisce, perché c'è immedesimazione, e ho scoperto negli anni che uno dei metodi più facili e più efficaci di immedesimazione è quello che passa attraverso il sorriso, attraverso l'ironia, perché davanti all'ironia lo spettatore abbassa le difese. Presentando dall'inizio una storia drammaticissima subito lo spettatore mette una barriera, mette delle distanze, davanti alla morte, alla sofferenza al dolore sbattuto subito in faccia lo spettatore si estranea, e allora è molto difficile renderlo partecipe, e questo è il motivo per cui uso anche l'ironia per parlare di una cosa su cui non c'è niente da ridere come quella dello sfruttamento del lavoro e delle morti bianche.
La scelta degli attori come l'hai effettuata?
Luca De Bei Nel caso di Riccardo ho scritto il ruolo per lui, perché avevo in mente questo personaggio, mi sono ispirato alla sua energia, volevo che William non sembrasse uno sconfitto, tanto che nemmeno nel fisico lo sembra, lui è un personaggio che sembra appartenere ad un'altra epoca, l'ho scritto nella didascalia che c'è sul libro, sembra finito per sbaglio in questo schifo, quasi un nobile di altri tempi. Lui non ha strumenti per dare un senso alla sua vita, però ha qualcosa di buono, e ciò lo rende ancora più struggente, avrebbe al possibilità di avere una vita costruttiva se la società gli avesse dato gli strumenti adatti, non glieli ha dati. Federica Bern è un'attrice che io conosco da tanti anni, ed è a mio avviso una delle più brave attrici giovani che ci sono. Lei aveva il problema che non è romana, e il testo è scritto in romano,ho fatto dei provini e ho trovate tante attrici romane brave, ma nessuna con la capacità che ha Federica di essere dura e tenerissima allo stesso tempo, tragica e comica, in somma di avere tutti i registri, allora visto che ce l'avevo non me la sono lasciata scappare, l'ho messa sotto, e lei si è messa sotto, credo che si sia vista 50 volte "Mamma Roma" di Pasolini e alla fine adesso tantissime persone sono convinte che sia romana. Alessandro Casula, interpreta un personaggio molto difficile, che parla poco e quando parla per di più lo fa in rumeno per cui mi serviva un attore che avesse un grande impatto visivo, con una grande capacità di essere concentrato, e spesso nonostante parli poco, con una forte presenza scenica e lui ce l'ha, ha questi occhi, questa fisicità bella ancorata forte.
Perché hai scelto l'ambientazione romana?
Luca De Bei Volevo parlare della realtà e siccome questi personaggi non potevano parlare in un italiano pulito, la realtà che io conosco meglio è quella romana ci vivo da 18 anni e oltretutto ho vissuto in borgata, prima alla Garbatella, poi a Ostiense ora a Monte spaccato, quindi ho pensato di essere pronto a scrivere in romano, ora non è che da ora in poi scriverò sempre in romano, ho scritto questo testo in romano perché lo richiedevano la storia e i personaggi.
Cosa hai in progetto per il futuro?
Luca De Bei Il prossimo anno, probabilmente, riprenderemo con il Teatro Eliseo "Un cuore semplice" di Flaubert con Maria Pajato, che abbiamo già fatto a Roma e in tournee, e poi un testo mio "Un forte ronzio di mosche" che parla dello sfratto di una famiglia da una casa popolare, che è stato finalista al Premio Enrico Maria Salerno l'anno scorso.
Tu sei anche attore, però mi sembra che ti stai specializzando più come autore e regista, come mai questa cosa?
Luca De Bei Infatti io ho iniziato come attore e appena diplomato alla scuola del Teatro di Genova ho iniziato subito a lavorare facendo cose anche importanti con Glauco Mauri, Gianfranco De Bosi, però ad un certo punto mi sono accorto che non essendo avvenuto il momento magico che è quello in cui ad un certo punto della carriera di un attore in cui improvvisamente sfondi, se questo momento non arriva, è molto faticoso sopravvivere, come dire essere alla mercé delle proposte altrui, per cui devi scegliere tra quello che ti propongono,ma la scelta è sempre molto ristretta, ci sono poche produzioni. Io dopo l'entusiasmo iniziale, dopo tanti anni di tournee ho detto no, ora ho bisogno di esprimermi io, un paio di volte ho recitato anche nei miei testi, adesso ci sono dei progetti di tornare a recitare, e ne ho anche voglia, ma se devo tornare ne deve valere la pena.
Cosa ne pensi della situazione attuale del nostro paese per quanto riguarda l'importanza data alla cultura.
Purtroppo in Italia fare questo mestiere, oggi, vuol dire farlo sulla pelle di chi lo fa, cioè non c'è più l'orgoglio di poter dire io faccio l'attore, il regista, l'autore, io faccio cultura in Italia, perché ci hanno portati a vivere in un precariato, e ci hanno tolto talmente tanti stimoli, io parlo di queste forze politiche , ma anche di quelle che c'erano prima, il fatto che in Italia si sia deliberatamente voluto che la gente fosse sempre più ignorante e che si investisse sempre meno nella cultura, ha fatto si che questo mestiere che è un mestiere importante fondamentale che nutre l'anima delle persone che è altrettanto importante che nutrire i corpi, siamo diventati purtroppo degli eroi nonostante noi, che ce lo fa fare a continuare, questa mestiere costa fatica sudore, spessissimo auto produzione, perché lo si fa ancora? Pensiamo alla forza all'energia che nonostante tutto continuiamo a mettere che patrimonio è. Quindi l'amarezza porta a lasciare questo paese, due miei amici attori sposati hanno avuto dei bambini e se ne vogliono andare , perché non vogliono far crescere i loro figli nel nostro paese. Da un lato c'è però anche la forza per lottare, perché ci sono tante cose di cui parlare, come in questo spettacolo, o come il prossimo sui mutui con i tassi variabili, sulla speculazione edilizia, e sull'ingerenza dell'istituto delle case popolari. Ma comunque la situazione è triste, è una vergogna che umilino la categoria di chi fa teatro,e che ci facciano sentire, perché questo lo scopo, farci sentire fuori. Questo è uno scandalo e una vergogna, e questa situazione, purtroppo è presente non solo nel mondo della cultura, ma anche nel campo della ricerca scientifica e in molti altri.
Miriam Comito
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