Effetti, contrasti e opposti che si consumano tra il
nero ed il bianco, bene e male dell'esistenza.
Strutturare un racconto noir per il teatro è
operazione ambiziosa. Parliamo di Zitto,
spettacolo proposto nella sezione Corti
Teatrali.
Alla sua I° edizione grazie
all'iniziativa del Teatro Millelire di Roma, tenutasi dal 7 al 12 gennaio
scorso.
Un corto di 20 minuti scritto da
Mariano Riccio e Giovanni Giudice e diretto da Daria Veronese, musiche
originali di Marco Pupa e luci a cura di Massimo Sugoni.
Zitto è nato così, poi è
stato riadattato da Andrea Alessio Cavarretta in occasione del Fringe Festival di Roma. Per tre serate, dal 16 al 20 giugno, la
performance di 50 minuti, ha riscosso consensi positivi e il risultato omogeneo
è stato frutto di un lavoro di ri-scrittura e di ri-composizione del dialogo
tra i due personaggi.
Gli attori, Mariano Riccio, Giacinto, e Giovanni Giudice, Miaj, interpretano il noir in modo
lineare e tranquillo. Di solito
l’atmosfera, in questo tipo di storia, si rende cupa e tetra, la distinzione
tra buono e cattivo non esiste e, proprio perchè non tutto viene svelato,
invita a riflettere, a trarre conclusioni personali su ciò che si è visto. Dare
senso interpretativo a tutto il quadro scenografico, svoltosi all’aperto, è
impresa. Credo, infatti, che, caratteristica importante e lampante, tra teatro,
spazio chiuso, e teatro organizzato all’aperto, sia stata quella di aver
lavorato sulla diversa gestione della regia, pulita, senza fronzoli, e sui
movimenti degli attori. Un lavoro perfetto realizzato da Daria Veronese della
Capsa Servie che produce lo spettacolo.
La trama si snoda intorno Miaj, rumeno e Giacinto, italiano. Un preambolo parlato, come per la chiusa,
prepara l’entrata di Giovanni Giudice in scena, dall’esterno. Si aggira
chiedendo l’elemosina, è un immigrato, di quelli che zoppicando e mostrando le
loro mutilazioni, infondono pietà
Mariano Riccio è intento a leggere appoggiato su un muretto. Siamo
all'esterno ed è sera.
I due entrano in contatto. La comunicazione
ambigua e ricca di riferimenti e paragoni infonde un senso di tensione. Giacinto, dopo aver donato poche monete
a Miaj tiene a precisare che è buono con le persone buone, anche se non
sembra esserne convinto, pur predicando
la Parola del Signore riportata sulla Bibbia. Dopo un primo breve dialogo
Giacinto invita Miaj in casa. Interno notte, un appartamento, una stanza. Essa è sfondo e proseguo di
questo nero dove l’arredamento è
vecchio stile, solo un pianoforte si confonde come tale e l’ambiguità verrà
svelata durante lo spettacolo. Una bottiglia di rosso sul tavolo è sinonimo di
ospitalità. Il vino rosso riscalda i
cuori, affoga i dispiaceri.
Il ritmo tra una poetica decadentista, che fa
riferimento a Boudelaire con I fiori del
male, e paragoni insistenti ed incalzanti, è un insieme di simboli a cui di
fa riferimento come, appunto, la margherita, metafora di purezza, bontà e
innocenza. Pallida Margherita, mia
Margherita, così bianca e fredda, non
sei tu forse come me un sole autunnale?
Il verso riadattato, gioco di parole, è in
contrapposizione con il nero del climax circostante.
Il bianco del fiore ed il nero, opposti, come
lo sono la bontà e la cattiveria, quest’ultima, si cerca di combatterla? Forse
si arma una battaglia nel ridare un ordine, un senso di giustizia?
Satana, il Diavolo, Giacinto, si trasforma nel seduttore del mondo, per sconfiggere il
male, Miaj, mettendolo di fronte alla
sua menzogna. Un sentimento che si ritiene opportuno affermare, quindi, è
quello di dire la verità, che redime le
anime. Quasi come perdonare.
Mariano Riccio ben coadiuva la sua parte con
una mimica facciale che ne supporta la recitazione, mentre invece Giovanni
Giudice ha lavorato bene sull’esercizio caro agli attori, la dizione.
Non credo sia stato facile interpretare un
dialetto che non ci appartiene, lontano, di un Paese straniero quale la
Romania.
Non è forse anche questo un messaggio?
Chi rappresenta l’extra-comunitario per noi?
Nel nostro Paese?
Non ci si fida mai, tranne in casi
particolari.
Comprendere il senso di Zitto è arduo. Di sicuro lo spettacolo andrebbe visto più volte per
addentrarsi nell’atmosfera fuligginosa del palco e seguire gli attori passo
passo e carpire il mistero celato in loro. Nelle loro anime.
Annalisa
Civitelli
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