Roma - "Marco era certo un ragazzo estroso, ma anche molto fragile e incostante. Amava la filosofia, per questo era molto legato a me. Da insegnante mi stimolava e al tempo stesso sentivo il desiderio di aiutarlo. Ma ora, sentito quello che è accaduto, sono sconvolta...".
A parlare è Marina Sambiagio, docente storica ora in pensione del liceo Giulio Cesare di Roma, animatrice per anni del cineforum della scuola e professoressa di storia e filosofia nella sezione H, quella di Marco Prato, uno dei due accusati per l'omicidio di Luca Varani nell'appartamento al Collatino.
Un ex alunno accusato dieci anni dopo di un assassinio. Che ricordo ha di Marco?
"Allora era un ragazzo intelligente, sopra la media, interessato alla cultura, a scuola seguiva anche tante iniziative anche di pomeriggio. Direi iperattivo...".
Andava bene a scuola?
"Seguiva, ma in maniera del tutto discontinua. Aveva gusti precisi: se una cosa non gli piaceva non la studiava affatto. Però la sua presenza a scuola era intensa. Diventò anche rappresentante di istituto".
Politicamente impegnato?
"Non parlerei di un impegno da militante. Ma la politica in senso generale, intesa come partecipazione alla vita attiva della scuola, quella sì, gli interessava molto".
Era sfrenato? Esuberante?
"Non vorrei banalizzare, vista anche l'attuale drammatica situazione, ma mi sembrava una persona aggraziata, persino generosa. O almeno con me lo è stato. Aveva una sovrastruttura educativa molto forte
Era aggressivo? Violento?
"A sedici anni no, né di formazione né di indole. Ho assistito a sfide, competizioni, anche tra le liste elettorali scolastiche, ma non dava l'idea di uno che potesse farsi dei nemici, anzi era molto ricercato, da compagne e compagni di scuola".
Un destino da pierre o la voglia di stare sempre al centro dell'attenzione?
"Forse entrambe. Lo conoscevano tutti, anche la preside di allora lo ricorda molto bene. Uno come lui non lo dimentichi".
È riuscita a spiegarsi come un ragazzo così possa diventare un omicida?
"Purtroppo nella vita si cambia. Le cose sono davvero andate diversamente da come me le ero immaginate. Da filosofa mi dico che la mente umana nasconde l'ignoto".
Conosceva i genitori? C'erano problemi in famiglia?
"Sì, ho conosciuto sia il padre che la madre, due figure importanti. Non parlerei di un disagio familiare. Certo è che Marco aveva preso una strada tutta sua, diversa. Era uno dalle scelte nette e in quei casi si finisce per entrare in conflitto".
Dopo la scuola ha continuato a frequentarlo?
"Uscito dal liceo è stato lui a continuare a girare intorno al Giulio Cesare. Noi organizzavamo il cineforum e lui veniva spesso, ci portava i suoi amici dell'università. All'inizio mi invitava anche ai suoi aperitivi, quando ha iniziato a fare il pierre. Mi diceva: "Professoressa, venga anche lei". Ma io non ci sono mai andata. Poi ci siamo visti sempre meno. Delle sue ultime serate non so nulla".
Su Facebook a marzo scorso Marco le ha fatto gli auguri di compleanno con un messaggio ancora di stima e di amicizia: "Augh grande capo".
"Sì, c'è stato qualche messaggio, qualche telefonata. Seguo molto i miei ragazzi, più degli altri: la mia è una materia stimolante emotivamente e intellettualmente, per questo è rimasto un legame".
Quando ha saputo che Prato era stato arrestato per un omicidio così violento, che cosa ha pensato?
"Sono caduta dalle nuvole, ho visto quella
foto di lui allo specchio e sono rimasta sconvolta, come tutti quelli che lo conoscevano. Ha colpito molto me e a tutta la scuola. La sua immagine non corrisponde più a quello che tutti noi ricordavamo di lui".
È riuscita a farsi un'idea di cosa sia accaduto in quella casa?
"Non ho piacere a parlare di questa storia. Uno in questi casi vorrebbe solo scomparire, come se non fosse mai accaduto nulla".
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