Fugando paragoni improponibili, Gabriele Russo si allontana dalle suggestioni kubrickiane, consegnate alla notorietà universale ed alla storia del cinema, per “ritrovare intatta – sottolinea il regista - quella necessità di Burgess nel proporre argomenti dai toni forti, capaci di scuotere le coscienze e suscitare domande legittime sulle possibilità di reagire, nel nostro tempo, alla violenza, gratuita o scientemente programmata”.
Recenti fatti di cronaca, nera ed italiana, collegano immediatamente i protagonisti dell’opera al nostro presente, suscitando emozioni e reazioni contrastanti. A distanza di oltre cinquant'anni dalla sua stesura, ci si rende conto di quanto l’autore avesse saputo guardare oltre il suo tempo presagendo, attraverso la storia violenta di Alex (Daniele Russo) e dei suoi amici Drughi (Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza) una società sempre più incline al controllo delle coscienze e all'indottrinamento verso un "pensiero unico”: crudele epilogo cui viene destinato il protagonista, sottoposto alla castrazione chimica ed al condizionamento psicologico.
Nella prima parte l’azione, ambientata in un futuro non lontano e in una qualsiasi possibile grande città, descrive i crimini di Alex e della sua banda di giovani teppisti. Nella seconda parte lo spietato e incosciente protagonista, condannato a 14 anni per omicidio, accetta di sottoporsi a un esperimento di pseudo riabilitazione in base al quale gli vengono instillate reazioni di insormontabile disgusto fisico ogniqualvolta sorgano in lui stimoli di violenza o anche solo di libidini, annullando completamente il suo libero arbitrio.
“A proposito di Alex – aggiunge Gabriele Russo – Burgess stesso lo definiva malvagio, a un livello forse inconcepibile sottolineando il fatto che azioni come le sue, in una società organizzata in modo corretto, dovessero essere punite, ma, allo stesso tempo, indicava la cattiveria quale componente umana, potenzialmente presente in ciascuno di noi e, dunque, invitava a riflettere con attenzione sulle modalità e sugli esiti di dette punizioni”.
Nello spettacolo, come nel libro e nel film, Alex viene trasformato “meccanicamente” da individuo asociale e pericoloso in un automa che vomita al solo comparire di un pensiero scorretto. “La violenza delle sequenze del racconto – aggiunge Gabriele Russo – però qui si stempera nei segni, e la narrazione si completa nelle immagini e nei suoni, rendendo le affascinanti scene/installazioni di Roberto Crea e le musiche originali di Morgan, nella sua straordinaria rilettura in rock di Beethoven, parte significativa dell’azione scenica”.
In scena, a ricoprire i molteplici ruoli del testo, una compagnia di sette bravissimi attori di diverse generazioni: Daniele Russo, Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, Bruno Tramice.
Le scene sono di Roberto Crea, le musiche originali di Morgan, i costumi di Chiara Aversano, il disegno luci di Salvatore Palladino, la regia di Gabriele Russo.
Daniele Russo Alex
Sebastiano Gavasso Dim
Alessio Piazza Georgie, padre Alex
Martina Galletta Moglie Alexander, Adolf, Joe
Paola Sambo Deltoid, ministro, madre Alex
Bruno Tramice Alexander, anziana signora, cappellano
Il film di Kubrick del 1971, ha saputo tradurre perfettamente il mondo descritto da Burgess, facendo della versione cinematografica di Arancia Meccanica un caposaldo della cinematografia di tutti i tempi. Un film che ha lasciato un segno tale da scoraggiare l'idea di una messinscena.
Tuttavia, quando ho letto l'adattamento che lo stesso Burgess ha elaborato a suo tempo per il teatro, sono rimasto sorpreso e coinvolto dalla sua completa autonomia drammaturgica. Nella prima parte al linguaggio originale e caratterizzante dei Drughi, si alternano canzoni in versi corredate di libretto e spartito scritto dallo stesso Burgess, aspetto che almeno nella struttura se non nel contenuto mi ha fatto pensare ad un testo brechtiano.
Trovando nella parte musicale uno degli elementi distintivi dell'opera, è stato naturale pensare ad un musicista fuori dagli schemi, prorompente e originale, un musicista che in qualche modo somigliasse ad Arancia Meccanica, Marco Castoldi in arte Morgan.
Così come nel romanzo la storia viene raccontata in prima persona da Alex, il capo carismatico dei Drughi, nella messinscena tutto sarà vissuto come se ci trovassimo in un suo incubo. Ragion per cui, visioni, musiche, ritmo saranno scanditi dal sentire del protagonista. La scena sarà una scatola nera al cui interno si materializzeranno le visioni di Alex, installazioni di arte contemporanea che si autodistruggeranno nella scena successiva. Un mondo rarefatto e onirico in cui però avvengono cose reali. In cui ad una causa corrisponde sempre un effetto.
In tal senso sarà interessante indagare e chiedersi quanto sia possibile l'idea del male assoluto, del male come fine a se stesso, come puro godimento. Non a caso lo stesso Burgess descrivendo Alex lo paragona a Riccardo III. Questo sta a significare che non ci sono cause reali a giustificare la violenza perpetrata da Alex, e Kubrick stesso ha scelto questa strada. I costumi dei Drughi non guarderanno ad un possibile futuro, ma saranno più vicini all'immagine ed i simboli dei ragazzi di oggi, così da cercare un rapporto empatico più immediato ed inquietante con lo spettatore.
Con Tommaso Spinelli abbiamo curato la tradizione del testo rimanendo fedeli il più possibile alle originarie intenzioni di Burgess. Il lavoro più duro ha riguardato la trasposizione del linguaggio dei Drughi, il Nadsat inventato dallo stesso autore, uno slang inglese con influenze russe. Per non perdere lo straniamento oltre che la violenza che questa parlata ha il potere di trasmettere, abbiamo lavorato sui singoli termini con attenzione scrupolosa, in qualche caso confrontandoci con la generazione dei nostri 18enni avvezza all'utilizzo di un linguaggio che crei identità.
La sottile linea di confine fra bene e male, il rapporto fra vittima e carnefice, la connessione fra la violenza del singolo individuo e quella della società saranno i temi che metterò in evidenza.
E Beethoven per Arancia Meccanica è fondamentale! Ho sempre amato la deformazione della musica classica e “mettere le mani” nella musica classica è esattamente come mettere le mani nei testi classici. Ludovico Van, rispetto a quello che rappresenta il protagonista Alex, simboleggia la forza e la dirompenza della violenza sonora!
L'idea che tutto avvenga attraverso la testa di Alex per me è stato fondamentale ai fini della realizzazione dei brani: le mie musiche iniziano riferendosi all'originale, per poi man mano deformarsi: trascendono e degenerano proprio perché stanno nella testa di Alex; quello che Alex ascolta non è Beethoven, è la sua idea deformata di Beethoven, è il suo delirio di Beethoven.
La quotidiana “ultraviolenza” ha i suoi chiaroscuri, le sue contraddizioni, i suoi risvolti inaspettati e improvvisi, ma il suo meccanico o strategico esercizio, sia esso scatenato dallo scrigno di un televisore o dal bastone di un “drugo”, infetta chiunque e non risparmia nessuno, nemmeno la musica.
In un presente ibrido ed infetto, il rigore composto di una gioventù repressa da uno Stato cieco e totalitario. La ribellione diventa rabbia, l’ultraviolenza prende il sopravvento diventando una festa in cui poter sfoggiare impeccabili smoking sartoriali, alternati alla pelliccia intesa come elemento primitivo, feroce ed assoluto.
Ad una gioventù persa nella sua primitiva incoscienza si contrappone un mondo di figure grottesche e polverose, un ricordo sgualcito di fredde metropoli nordiche dei regimi totalitari. Lo Stato cinico, cieco si nasconde dietro cupe lenti nere che diventano un muro invalicabile e minaccioso. Un mondo opaco che viene squarciato da lampi di giallo che irrompe folle, violento e pericoloso come l’urlo disperato di chi è perso in un mondo meccanico.
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