Interpretato da Pippo Pattavina, Debora Bernardi e Giovanna Mangiù ; regia di Ezio Donato, scene Susanna Messina, costumi Sorelle Rinaldi, musiche Carlo Minuta.
Una giovane e affermata psicologa riceve nel suo moderno e accogliente studio un nuovo paziente: un anziano signore che ha prenotato la visita per telefono, presentandosi in modo alquanto misterioso, tanto da non volere all'inizio neanche rivelare il suo nome.
Ella, questo è il nome della psicologa, nonostante il successo professionale, vive una vita familiare dolorosa: è stata abbandonata dal marito dal quale ha avuto un figlio autistico, adesso adolescente, con gravi difficoltà di comunicazione, tanto da non essere mai riuscito a pronunciare neanche la parola "mamma".
Il ragazzo ha un'unica passione: suona il violoncello. Solo con la sua musica, concentrandosi, riesce a esprimere il suo stato d'animo.
Quando il nuovo paziente si presenta nello studio, che è anche la casa dove vive Ella con il figlio, la giovane psicologa ha appena rassicurato il ragazzo che, finita la terapia con quell'anziano signore, si dedicherà totalmente a lui.
Il misterioso paziente rivela subito che ha un bisogno urgente di essere preso in terapia, qualunque sia il costo; ma, come ha già fatto al telefono, esita a dare informazioni su di sé.
Al contrario e con grande preoccupazione della psicologa, mostra di conoscere tutto della sua terapeuta, dei suoi successi professionali, della sua penosa condizione familiare, della difficoltà di relazione con il giovane figlio e del suo atteggiamento femminista, laico e positivo che non ha bisogno della fede per continuare ad avere speranza negli uomini e nel futuro.
Anzi, sembra che proprio la situazione personale della psicologa abbia spinto l'anziano paziente, al culmine di un'ennesima e sconvolgente crisi depressiva, a rivolgersi a lei.
Ella da un lato vorrebbe prenderlo in cura perché s'accorge che l'angosciante situazione psicologica di questo suo nuovo paziente è ormai giunta al punto di non ritorno, ma dall'altro, la sua misteriosa identità tanto da farlo sembrare un impostore, e soprattutto quella ostentata e perciò pericolosa mania di onnipotenza che gli fa dichiarare di essere addirittura Dio, la preoccupa fino al punto di pensare di non essere in grado, o peggio di finire per essere la vittima di una sindrome maniacodepressiva pericolosissima per il paziente e per lei stessa.
Ma il nuovo e inquietante paziente è anche un artista, un musicista, un creatore di effetti speciali e quindi in grado di guardare se stesso con ironia.
Così, fra l'incredulità angosciata, ma anche stizzita, della psicoanalista e le pressanti tragicomiche richieste d'aiuto in un'unica seduta di un surreale paziente che dichiara di essere Dio e di soffrire perciò del millenario mancato riconoscimento affettivo da parte delle sue creature, la seduta terapeutica sembra non potersi pienamente realizzare perché il paziente non si abbandona realmente e la psicanalista non sa veramente come comportarsi in un caso così difficile e forse addirittura impossibile, fino a quando…
i due protagonisti accettano la loro vera identità e la terapia diventa una catarsi per entrambi.
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